Un atto spregevole, di vergognosa violenza, ha trasformato la vita di Veronica, segretaria in uno studio di avvocati, in un inferno personale, disperatamente celato agli occhi di chi la ama ma che si rinnova, quotidianamente, in una drammatica tortura per il suo animo. Nel cercare di riprendere il senso di un qualcosa che le scivola via dalle mani, si trova a dover fronteggiare anche un drammatico incidente che coinvolgerà una persona a lei molto cara, rendendole ancora più indefinita la vita sotto i suoi passi. Dina Piemontese, con la sua opera prima, Avanzi d’Io, realizza un romanzo di rara intensità pur nella drammaticità del tema trattato; una scrittura, la sua, che delinea personaggi che escono vivi dalla carta con tocchi essenziali, restituendoci tutto il dramma, ma anche la forza, di vite che cercano di darsi una seconda opportunità.
Dina Piemontese (San Giovanni R.do, 1985) trascorre l’infanzia in Puglia, trasferendosi, successivamente, in Lombardia con la sua famiglia, dove frequenterà l’istituto tecnico commerciale Leonardo da Vinci di Cologno monzese. Vive e lavora in provincia di Bergamo, sensibile al sociale, dedica una particolare attenzione alle donne vittime di abusi. Da sempre amante dei libri e della scrittura, coltiva questa passione, dedicandosi alla composizione del suo primo romanzo Avanzi d’Io.
Carmelo De Marco –
Un tema scottante trattato con mano delicata e decisa.
Dina Piemontese – 37 anni di S. Giovanni Rotondo – è una scrittrice alla sua opera prima di narrativa.
Ho conosciuto Dina sui social dopo avere scoperto per caso il suo libro in un post: ne sono stato attratto istintivamente dalla splendida copertina (complimento all’autore della fotografia) e dall’intrigante titolo «Avanzi d’Io». Se il libro fosse stato in esposizione sul bancone della libreria lo avrei acquistato a prescindere, a dimostrazione di quanto importante sia l’esposizione di un libro che invece i librai, sudditi dei grandi (ritenuti tali) editori, non riservano agli editori minori. Da qui la voglia e la curiosità di passare ai contenuti per scoprire nella lettura cosa si celasse, filosoficamente parlando, dietro un incipit così pretenzioso.
La giovane autrice si cimenta con questo suo primo romanzo con un tema da sempre attuale – oggi più che mai – qual è quello della “violenza sulle donne”, nella specie l’aberrante violenza dello stupro. Un argomento insidioso, straparlato, sul quale era facile cadere nella trappola del conformismo, dello stereotipo o, se volete, della retorica; in altri termini il rischio della banalizzazione attraverso una narrazione di tipo routinario era dietro l’angolo.
Dina Piemontese invece sorprende perché ha l’accortezza di uscire fuori da binari collaudati tipici del genere rosa o magari noir, che l’avrebbero portata sui binari della tradizionale cronaca di uno dei delitti più abbominevoli che un essere possa concepire (mai puniti come si dovrebbe), per dare vita a una figura di donna particolarmente caratterizzata, penetrando quel suo IO, esplorato tra mille domande senza risposta, spesso maltrattato, non tanto dalla drammaticità dell’evento che ha subito, quanto dalle figure ambigue, a volte persino impenetrabili, che la circondano. E sta qui la forza e la bravura di questa nuova narratrice che riesce a disegnare una figura di donna consapevole del terreno minato su cui si muove la vita che le sta davanti dopo l’aggressione fisica e psichica subita.
Sono quattro i personaggi principali: la protagonista e vittima Veronica, Giacomo, Giada e Fabrizio. Tutti artefici, nell’intreccio di vicende minuziosamente costruite, certamente di fantasia ma possibili, della rinascita di Veronica. Ne viene fuori il ritratto di una donna che reagisce alle torture quotidiane del suo animo (a stento celate a chi la circonda) senza chiusure nichilistiche ma cercando nel suo essere quell’”esserci” di heideggeriana memoria da difendere a tutti i costi anche nello spasimo struggente del ricordo del suo corpo violato che non vuole scomparire. Lo fa aprendosi all’amore, non rifiutandolo perché non se ne vergogna, lo fa dando spazio ai sentimenti senza rifiutare il richiamo dei sensi e il bisogno placante del piacere del sesso.
Una nota a parte va alla scrittura della Piemontese: cattura sin dalle prime righe facendo presagire una mano ferma e decisa. Per essere un primo cimento l’autrice dà prova di una scrittura agile, essenziale, descrittiva quando occorre in dettagli che illuminano la scena senza stancare: “Regolo la temperatura dell’acqua sotto la doccia… La miscela accarezza il mio corpo riluttante formando le sue scie, una di queste percorre il seno graffiato, ne segue il profilo rallentando sul capezzolo per poi riprendere la sua corsa.”
In conclusione, Avanzi d’Io, è un romanzo che lascia un messaggio indelebile a tutte le donne che vivono il dramma della violenza: denunciare e trovare la strada della rinascita, come quando caduti da cavallo è bene risalire senza indugio in sella.
Veronica non ha dubbi: «Non sono una fenice e non rinascerò dalle mie stesse ceneri, saranno sufficienti i miei avanzi, gli stessi che ho premurosamente raccolto e riunito con me, sfiorandoli e maledicendoli infinite volte. Preziosi e unici, inestimabili. Sono gli avanzi di quell’Io che non ha mai smesso, neppure pere un solo istante, neppure nel buio più sconfinato, di battermi dentro, dolorosamente, eternamente, ricordandomi con la sua prepotenza che a questa vita non voglio rinunciarci.»
carmelo de marco –
Un tema scottante trattato con mano delicata e decisa.
Dina Piemontese – 37 anni di S. Giovanni Rotondo – è una scrittrice alla sua opera prima di narrativa.
Ho conosciuto Dina sui social dopo avere scoperto per caso il suo libro in un post: ne sono stato attratto istintivamente dalla splendida copertina (complimento all’autore della fotografia) e dall’intrigante titolo «Avanzi d’Io». Se il libro fosse stato in esposizione sul bancone della libreria lo avrei acquistato a prescindere, a dimostrazione di quanto importante sia l’esposizione di un libro che invece i librai, sudditi dei grandi (ritenuti tali) editori, non riservano agli editori minori. Da qui la voglia e la curiosità di passare ai contenuti per scoprire nella lettura cosa si celasse, filosoficamente parlando, dietro un incipit così pretenzioso.
La giovane autrice si cimenta con questo suo primo romanzo con un tema da sempre attuale – oggi più che mai – qual è quello della “violenza sulle donne”, nella specie l’aberrante violenza dello stupro. Un argomento insidioso, straparlato, sul quale era facile cadere nella trappola del conformismo, dello stereotipo o, se volete, della retorica; in altri termini il rischio della banalizzazione attraverso una narrazione di tipo routinario era dietro l’angolo.
Dina Piemontese invece sorprende perché ha l’accortezza di uscire fuori da binari collaudati tipici del genere rosa o magari noir, che l’avrebbero portata sui binari della tradizionale cronaca di uno dei delitti più abbominevoli che un essere possa concepire (mai puniti come si dovrebbe), per dare vita a una figura di donna particolarmente caratterizzata, penetrando quel suo IO, esplorato tra mille domande senza risposta, spesso maltrattato, non tanto dalla drammaticità dell’evento che ha subito, quanto dalle figure ambigue, a volte persino impenetrabili, che la circondano. E sta qui la forza e la bravura di questa nuova narratrice che riesce a disegnare una figura di donna consapevole del terreno minato su cui si muove la vita che le sta davanti dopo l’aggressione fisica e psichica subita.
Sono quattro i personaggi principali: la protagonista e vittima Veronica, Giacomo, Giada e Fabrizio. Tutti artefici, nell’intreccio di vicende minuziosamente costruite, certamente di fantasia ma possibili, della rinascita di Veronica. Ne viene fuori il ritratto di una donna che reagisce alle torture quotidiane del suo animo (a stento celate a chi la circonda) senza chiusure nichilistiche ma cercando nel suo essere quell’”esserci” di heideggeriana memoria da difendere a tutti i costi anche nello spasimo struggente del ricordo del suo corpo violato che non vuole scomparire. Lo fa aprendosi all’amore, non rifiutandolo perché non se ne vergogna, lo fa dando spazio ai sentimenti senza rifiutare il richiamo dei sensi e il bisogno placante del piacere del sesso.
Una nota a parte va alla scrittura della Piemontese: cattura sin dalle prime righe facendo presagire una mano ferma e decisa. Per essere un primo cimento l’autrice dà prova di una scrittura agile, essenziale, descrittiva quando occorre in dettagli che illuminano la scena senza stancare: “Regolo la temperatura dell’acqua sotto la doccia… La miscela accarezza il mio corpo riluttante formando le sue scie, una di queste percorre il seno graffiato, ne segue il profilo rallentando sul capezzolo per poi riprendere la sua corsa.”
In conclusione, Avanzi d’Io, è un romanzo che lascia un messaggio indelebile a tutte le donne che vivono il dramma della violenza: denunciare e trovare la strada della rinascita, come quando caduti da cavallo è bene risalire senza indugio in sella.
Veronica non ha dubbi: «Non sono una fenice e non rinascerò dalle mie stesse ceneri, saranno sufficienti i miei avanzi, gli stessi che ho premurosamente raccolto e riunito con me, sfiorandoli e maledicendoli infinite volte. Preziosi e unici, inestimabili. Sono gli avanzi di quell’Io che non ha mai smesso, neppure pere un solo istante, neppure nel buio più sconfinato, di battermi dentro, dolorosamente, eternamente, ricordandomi con la sua prepotenza che a questa vita non voglio rinunciarci.»