“Prima ancora della pandemia e della precedente grande recessione, un grave morbo minaccia le società liberal-democratiche, dette fino a ieri avanzate. È il crollo della classe media che da sempre le ha sostenute, ma è stata tradita. Negli Stati Uniti e in Europa è ben documentata ormai la condizione di tanti nonni che vedono i figli stare peggio di loro e ancor peggio i nipoti, gli stessi nonni che avevano vissuto notevoli e spesso straordinari miglioramenti rispetto ai loro genitori fino agli anni Ottanta del Novecento. A questo tradimento reagisce, assieme al populismo, un’ondata comunitarista che ben più seriamente mette in discussione i principi stessi e l’organizzazione della società individualista. Smascherata la truffa meritocratica, che aveva promesso di premiare i capaci e laboriosi ma alla fine ha premiato i ricchi e i profittatori, idee antiche riprendono forza. Una buona società è vista come reticolo di rispetto e cura reciproci piuttosto che come un insieme casuale di individui portatori di diritti. L’azione collettiva per il bene comune è vista come indispensabile e più sana rispetto all’azione individuale e delle autorità costituite.
Ma qui sorge un dilemma: la comunità e l’azione collettiva possono ritenersi davvero capaci di fare meglio per il bene della maggioranza di quanto hanno saputo fare il Mercato e lo Stato delle società liberal-democratiche? Se il populismo, con le sue ricette semplici e illusorie, appare chiaramente inadeguato, il ben più sofisticato comunitarismo non rischia di essere un rimedio peggiore del male? In fondo è già stato sperimentato sia nelle comunità tradizionali sia in tempi moderni nelle società “organiche”, dove in nome di un asserito “bene comune” il bene individuale è stato calpestato.
Il libro parte da questa domanda e si propone, con una paziente analisi, di individuare le condizioni che realisticamente possano permettere l’organizzazione di un’azione collettiva “buona” in modo da evitare i rischi di quella “cattiva”.
(…)
La ricerca presentata in Dilemmi dell’azione collettiva sottolineando qualche verità inquietante potrà forse servire come repertorio di avvertenze sui pericoli di fallimento dell’azione collettiva “buona” per tentare di evitarli.”
Gilberto Seravalli, già professore ordinario di economia dello sviluppo presso l’Università di Parma, già docente del dottorato in studi urbani GSSI, ha insegnato all’Università della California Berkeley e ha diretto la scuola di alti studi sullo sviluppo della Fondazione Nitti.
Ha scritto, tra l’altro, Né facile, né impossibile. Economia e politica dello sviluppo locale, Donzelli 2006; Conflitto e innovazione: le capacità innovative delle imprese tra organizzazione e intenzionalità, Egea 2011; An Introduction to Place-Based Development Economics and Policy, Springer 2015; Lo sviluppo economico fatti, teorie e politiche (con L. Boggio), Il Mulino prima edizione 2003, seconda edizione 2015; Incióu sü tüt – La parabola di un capitalismo prepotente: Biella 1850 – Maratea 1969, Rosemberg & Sellier 2017; (con A. Schena) Un’utopia «intelligente»: l’economia di Bernard Lonergan S. J., Accademia University Press, 2019.
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