Sempre in cammino. Non importa la stagione – caldo, freddo, pioggia – non importa se si ha fame o se si è stanchi. Così è deciso, si deve partire e continuare a camminare, in eterno movimento e senza comprendere a fondo le ragioni che ci spingono oltre, o forse la ragione risiede unicamente nel mettere un piede davanti all’altro, un passo dietro l’altro, rialzandosi quando si cade e assaporando quel poco di pane secco che ci viene concesso come pasto quotidiano. Sembra una prigione quella descritta nelle pagine de Gli occhi degli altri, eppure si ha la netta sensazione fin dall’incipit che qualcos’altro c’è a dare un senso all’eterno ripetersi dell’uguale. La notte, quando è possibile ristorarsi su letti di fortuna, ecco spuntare alcune lettere senza mittente e senza destinatario, quasi messaggi nella bottiglia che parlano di un mondo che sembra scomparso e risvegliano ricordi che si credevano perduti. Gli occhi percorrono avidi le righe vergate a mano, immaginando retroscena e sentimenti che le hanno animate e un’esile luce inizia a rischiarare il nero pece che fino a poco prima inghiottiva tutto. Un romanzo intenso e coinvolgente, una metafora sapientemente riuscita della vita – fatta di amore, malattia, speranza e disperazione – capace di arrivare con forza dirompente dritta al cuore del lettore.
Giuseppe Vecchio (Caggiano, 1960) vive tra Cava de’ Tirreni, Caggiano e New York, è fotoreporter internazionale e cura la rubrica Uno sguardo dal ponte sul settimanale «GiaMondo». Affetto dalla malattia di Parkinson da dodici anni, è Presidente dell’Associazione di volontariato Parkinson Parthenope. Gli occhi degli altri è alla sua seconda edizione.
MARINA –
All’inizio mi sembrava un discorso troppo ermetico, pieno di dettagli e frasi ripetute, una litania che mi procurava disagio e spesso ho avuto la tentazione di chiudere il libro. Ma la curiosità era più forte della fatica di leggerlo. Superata la prima parte il racconto è diventato più intrigante, si è trasformato quasi in un racconto di paura. Il ritrovamento delle lettere è stato molto emozionante specialmente mentre leggevo quelle parole d’amore. Ma qualcosa non mi quadrava, così ho riletto il libro per sottolineare le frasi che mi avevano colpito e mi è venuta l’illuminazione: forse non era una donna di cui si parlava ma della vita, un tempo bella, appagante, piena di amore, poi era successo qualcosa che aveva fatto perdere la voglia di vivere. Ho iniziato a sentire tutto il malessere fisico e psicologico dell’autore, il suo sentirsi prigioniero dei ricordi e la sua rassegnazione. Ha scavato nei suoi ricordi per cercare di innamorarsi di nuovo della vita. Ha iniziato ad aprire gli occhi ed accorgersi che aldilà di te stesso, esistono altri esseri umani, che ascoltare i loro problemi lo faceva sentire vivo e gli dava la possibilità di uscire dal nascondiglio nel quale si era rifugiato. Ho pensato che anche io dovevo avere il coraggio di guardarmi dentro, di accettarmi così come sono.
La lettura mi ha lasciato due sensazioni contraddittorie: da un lato avevo un senso di angoscia, dall’altro mi venivano in mente quelle frasi che mi avevano emozionato. Quelle riflessioni profonde e piene di saggezza. In qualcosa mi sono ritrovata in altre no. Ma del resto è normale perché non siamo tutti uguali, ognuno ha i suoi pensieri.