Armando, un sessantenne depresso, stanco e senza più motivazioni, ormai in pensione da tre anni, sceglie di vivere in solitudine, tagliando ogni rapporto con la società e la vita attiva. La sua condizione emotiva, tuttavia, non gli impedisce di analizzare il proprio vissuto e di interrogarsi su alcuni temi fondamentali dell’esistenza.
L’incontro e la conoscenza delle condizioni di salute di Paolo, suo amico fraterno dagli anni del ginnasio, che gli confida di avere un cancro ai polmoni e, successivamente, di avere le metastasi al fegato, scombussolerà il fragile equilibrio emotivo di Armando: il terrore della morte riuscirà a risvegliare in lui l’interesse per la vita. Smetterà di avere paura della morte, accettandone l’ineludibilità.
Massimo Cozzi è nato l’8 marzo 1949 a Civitavecchia, dove tuttora vive. Si occupa di Letteratura italiana e di poesia del Novecento.
Ha svolto attività di studio e di ricerca sul: “Cambiamento organizzativo e la gestione delle risorse umane”. È autore di numerose pubblicazioni, dispense e del libro: La regolazione e lo sviluppo organizzativo del sistema sportivo italiano (2004).
Ha svolto attività di formazione e si è occupato dell’organizzazione di corsi di formazione, in collaborazione con la LUISS-Management e la Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione.
Ha avuto incarichi di docenza, presso la cattedra di Sociologia della Facoltà di Magistero e presso il Dipartimento di Sociologia dell’Università degli Studi “La Sapienza” di Roma.
Ha insegnato presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università “LUMSA” di Roma.
Il giardino degli aranci è il suo primo romanzo.
Nicola R. Porro –
Il giardino degli aranci (Europa Edizioni, Milano, 2022) è il romanzo di esordio di Massimo Cozzi. Chiunque lo legga troverà la cosa sorprendente perché l’autore muove con l’agilità e l’eleganza di un consumato romanziere i fili di una trama semplice – ispirata a una vicenda reale – ma densa di suggestioni, di felici transiti narrativi e di efficaci rappresentazioni di personaggi che si riveleranno via via altrettanti testimoni del tempo. Armando, il protagonista, è un anziano professore in pensione alle prese con una depressione latente che gli ispira dubbi, rimorsi, nostalgie. Il male di vivere che giorno dopo giorno si insinua nella sua esistenza lo spinge a cercare una sorta di riscatto morale inseguendo Alessandro, un figlio ribelle che si rivelerà bisognoso di tutto tranne che di un padre alla malinconica ricerca di se’ stesso. Cozzi ricostruisce ed esplora questa sofferta relazione padre-figlio sottraendosi al rischio – sempre incombente quando ci si misura con le narrazioni del vissuto – dello stereotipo e della banalità. Quella che compone attorno ad Armando, alla sua famiglia – l’insoddisfatta moglie Serena, l’incostante altra figlia Elisa –, si fa invece passo passo l’occasione dolente, e perciò urgente e sincera, per una vera e propria ricerca interiore. Ad alimentarla non c’è soltanto la condizione soggettiva del protagonista e la silenziosa infelicità del quotidiano comune a tante famiglie. Armando, pur rassegnato al ruolo dell’intellettuale di provincia, sa infatti attingere a un patrimonio culturale per nulla trascurabile. L’autore costruisce con garbo una riflessione introspettiva nutrita di autentici umori filosofici. Prende così forma, pagina dopo pagina, un dolente dialogo con sé stesso che non interroga una singola biografia bensì la più complessa trama delle sue relazioni sociali, familiari, professionali. Forse, sembra suggerire Cozzi, è proprio perché intessuta di sofferenza che l’introspezione si fa via via più nitida, coraggiosa e autocritica, sino a tradursi in un amaro ma finalmente genuino redde rationem. All’epilogo del racconto, insieme malinconico e liberatorio (cui per ovvie ragioni non farò cenno), Armando giunge scavando in sé stesso e ripensando false certezze. Ma è solo aprendosi al dolore degli altri che riuscirà a dare un senso alla sofferenza condividendo solidarietà, paure e qualche illusione. Accompagnerà la malattia senza ritorno di Paolo, l’amico più caro. Cercherà persino sostegno in una religiosità assopita che però, per onestà intellettuale, rifiuta di usare come placebo capace di offrire qualche momento di fuggevole consolazione. Per tutte le 130 pagine della narrazione il protagonista non cesserà mai di inseguire l’ombra sfuggente del figlio, quasi che – consumatasi ogni realistica speranza – fosse la ricerca in sé a restituire un senso alla sua esistenza. Non saprei riassumere in un’espressione adeguata questo sovrapporsi di disagio esistenziale, male di vivere e ricerca di senso. La letteratura tedesca descrive questa condizione con una parola intraducibile: Weltschmerz. È quel “dolore del mondo” che rivive nelle nostre esistenze, e che induce a interrogarci sul senso stesso della vita ben al di là delle sue definizioni biologiche o esistenziali. Cozzi accompagna con una sorta di fraterna partecipazione la ricerca del suo Armando. E ce ne consegna una testimonianza intensa e insieme di piacevole lettura.
Paola Angeloni –
Cari Massimo e Nicola, ” Il giardino degli aranci “( Europa Edizioni, Milano 2022), può essere letto anche come un paradigma della nostra generazione, nata dopo il 1945 e…grazie al boom economico.
Il nostro Liceo Classico ci ha formati e poi l’ Università, la carriera professionale e le amicizie comuni che in un piccolo centro rimangono un saldo punto di riferimento.
Armando, infatti, avvezzo al mare , è un padre, un padre protettivo del figlio, che invece ha un’ altra filosofia, degna di questi tempi, il ” vivere alla giornata”.
Incantano le descrizioni della natura, il mare, la pioggerella, il crepitio della grandine. Ma anche la descrizione ” materiale” della subentrata pigrizia e solitudine, descritta con pitture ” morandiane”.
So bene che avresti preferito in copertina la fantasia – che poi è anche realtà- del Giardino labirinto situato a Roma, testimonianza di un mondo sensibile e raffinato, che spesso riaffiora nella nostra coscienza, come paradiso perduto.
Commovente la compassione per l’ amico , malato terminale, che gli permette di scoprire ” la finitezza e la temporalità dell’ esserci”.
Infine faccio mio il tuo messaggio: sottrarre le cose all’ oblio, farle aprire al dialogo, orientarci verso una ” vita activa”.
Un augurio, tua cognata, Paola.
Paola Angeloni –
” Il giardino degli aranci “( Europa Edizioni, Milano 2022), può essere letto anche come un paradigma della generazione nata dopo il 1945 e grazie al boom economico.
Armando, avvezzo al mare , è un padre, un padre protettivo del figlio, che invece ha un’ altra filosofia, degna di questi tempi, il ” vivere alla giornata”.
Incantano le descrizioni della natura, il mare, la pioggerella, il crepitio della grandine. Ma anche la descrizione ” materiale” della subentrata pigrizia e solitudine, descritta con pitture ” morandiane”.
Commovente la compassione per l’ amico , malato terminale, che gli permette di scoprire ” la finitezza e la temporalità dell’ esserci”.
Infine un messaggio universale: sottrarre le cose all’ oblio, farle aprire al dialogo, orientarci verso una ” vita activa”.
Ne consiglio vivamente la lettura, scorrevole e profonda al contempo.
Adele Zirulia –
“Il giardino degli aranci”, opera prima di Massimo Cozzi, edito, nella collana Edificare Universi, per i tipi di Europa Edizioni, Milano, 2022, è un testo che in me ha confermato il piacere autentico, assoluto per la lettura.
Si tratta di un romanzo, a suo modo, singolare e inatteso.
Fondamentalmente per due motivi.
Primo motivo: grazie ad una presa fluida e convincente ci comunica con estrema chiarezza, in una sequenza temporale lineare, il messaggio da trasmettere.
Gli eventi sono costantemente punteggiati da riflessioni, alleggerite da poetiche descrizioni paesaggistiche, che si alternano alla narrazione oggettiva, e da suggestive descrizioni della natura con immagini, suoni e colori che variano con l’alternarsi delle stagioni e degli stati d’animo del protagonista.
Non a caso lo stesso titolo del romanzo fa pensare ad un “locus amoenus”, è un’allusione all’albero della vita e ai suoi frutti, inserita in un episodio particolare del rapporto padre-figlio, cardine affettivo della narrazione.
È il figlio a far conoscere ad Armando un angolo verde, nascosto nel cuore di Roma. Come dire che ciò che è bello e prezioso spesso è segreto, va cercato e svelato.
Ma questo momento di comunicazione e d’intesa non basterà a soddisfare l’amore paterno e a colmare il vuoto d’amore sofferto dal protagonista.
Secondo motivo (last but not least): è il più importante. Non siamo di fronte ad una pura invenzione letteraria. Lo stesso autore, in una sua nota, dichiara che i fatti sono realmente accaduti. E non esitiamo a crederlo.
C’è un leitmotiv che pervade la scrittura. Qualcosa che di solito si tace: il disagio di vivere. In questo caso tanto più vero, in quanto si tratta di rapporti familiari, che ognuno di noi può condividere. Lo stile limpido e incisivo non si avvale di artifici retorici ma è un richiamo costante al quotidiano e a problematiche familiari comunemente vissute.
Agitazione, sconforto, ansia, dolore sono stati d’animo che esitiamo a riconoscere. Preferiamo eluderli, soffermarci sugli aspetti gratificanti della nostra vita. Siamo portati a cancellare la sofferenza, ad esaltare i successi e ad ignorare le sconfitte: una strategia che ci sembra la migliore per “esistere ed esserci”. Per questo motivo è una piacevole sorpresa la confessione diretta, semplice del sentire comune.
Quali “Le parole per dirlo”?, se vogliamo parafrasare il titolo di un romanzo francese di Marie Cardinal. Quale la scelta degli elementi linguistici e del complessivo, generale, canone estetico che concorre a creare la tipologia dei personaggi e l’atmosfera in cui si muovono, specchio del mondo interiore di chi scrive? Secondo l’autore ̶ io credo ̶ per scrivere non è inevitabile ignorare i cuori semplici, non è necessario dar vita a caratteri complessi, ambivalenti, indefinibili né costruire trame cariche di “ suspense”, colpi di scena, sfumature “noir”, attesa e paura.
Oggi si dice ancora “romanzo” ma il termine copre un notevole ventaglio di generi narrativi diversi. In questo testo, però, in cui non si indulge alle contaminazioni e all’ibrido, l’apparizione di una “misteriosa” signora, sentita da Armando come visione presaga della morte, suscita un dubbio sulla cosiddetta “normalità” del quotidiano.
La vita di ogni giorno non risparmia al protagonista grandi interrogativi esistenziali: il significato del vivere e del morire.
“La cognizione del dolore” induce Armando a chiedersi il vero senso della vita e ad accettare l’ineludibilità della morte, fino a superarla con un proposito estremo e coraggioso che segna il riscatto dalla sua sofferta e, apparentemente, definitiva condizione di vinto. Il varco verso la salvezza è nella capacità di fugare la solitudine con una soluzione drastica: dedicarsi ad aiutare chi soffre, con vera compassione.
La lettura di alcuni passi del testo può aiutare a comprendere la qualità narrativa e il messaggio del romanzo:
pag. 21 “ Armando trascorse insonne la notte seguente alla sera in cui il figlio se n’era tornato a Roma. […] Improvvisamente, vacillò in lui la convinzione che fosse stata importante la qualità del rapporto, non la quantità del tempo trascorso con il figlio, si sgretolò l’alibi che si era costruito pe giustificare la propria assenza.”;
pag. 37 “La giornata era soleggiata. […] Si poteva vedere, in lontananza, un mare increspato, di colore azzurro cobalto, inargentato, a tratti, dalla luce dei raggi del sole.”;
pag. 38 “Si rendeva conto della propria impotenza, ma era pure consapevole che poteva essere vicino all’amico, essergli d’aiuto, dargli conforto. […] Comprese che non era accettabile lasciarsi vivere, standosene rinchiusi nella propria solitudine, che la vita ha valore se è vissuta, pienamente, in comunione con gli altri. […] Capì che non doveva […] vivere in attesa della morte, ma perseguire la pienezza della propria vita, attraverso le proprie scelte e le proprie azioni.”;
pagg. 41-42 “Al crepuscolo, i colori si dissolvevano, stemperandosi nel mare e insieme scemavano, lentamente, il dolore e l’angoscia […]. Il tramonto cedeva il passo alle ombre della sera. […] Prima di allora, […] non aveva avuto dubbi […], per lui la nascita rappresentava l’inizio della vita, la morte la fine. […] Ora, invece, si domandava in quale dimensione ci si trova prima di nascere e in quale altra si va dopo la morte, cominciava a chiedersi che senso avesse la vita se, dopo, c’era il nulla. Avvertiva che non c’era limite al trascorrere ciclico e illimitato del tempo che scandisce, regola e determina l’esistenza di tutti gli esseri mortali, sottraendoli all’azione lineare del tempo, coinvolgendoli, invece, in quella ciclica dell’eterno ritorno.”;
pagg. 49-50 “La pioggia era cessata, un cielo plumbeo e ovattato si lasciava trafiggere da qualche isolato raggio di sole.
Armando decise di uscire. […] Le onde, sotto riva, si frangevano sugli scogli posti a protezione dell’arenile. A ridosso della risacca, la corrente risucchiava, nei gorghi del mare mosso, la spuma bianca che si formava in superficie. […] Armando, di tanto in tanto, fissava l’orizzonte, come se volesse trovare, in quel limite apparente, la risposta alla sua sconfinata inquietudine. […] Decise di rincasare […] e si sedette sul divano per fare un bilancio della giornata: aveva trascorso quelle ore serenamente, […] era riuscito a scendere nel profondo della propria anima, a vedere dentro se stesso. […], se ne stette, invece, seduto ad ascoltare la voce del silenzio che aveva eletto proprio compagno nella personale ricerca del significato della vita.”;
pagg. 123-124 “Era stanco e deluso dei suoi fallimenti. Doveva approfittarne per sparire come aveva fatto suo figlio: non avrebbe più dovuto spiegazioni che non sapeva né avrebbe mai voluto dare, ma soprattutto desiderava evitare l’invadenza e le pressioni familiari, divenute un’ossessione insopportabile, e, per un po’, starsene da solo.
Il mattino seguente, […]. Salì sul treno, […]. Arrivò in convento, sistemò le poche cose che aveva portato con sé in un piccolo stipo della cella messa a sua disposizione, si sdraiò sul letto, e, provando una sensazione di leggerezza infinita, si addormentò.
Riprese a lavorare nella mensa tutti i giorni, […]. La sua vita scorreva, tranquillamente, tra il lavoro, il silenzio del convento, l’incanto del giardino degli aranci. Non diede più alcuna notizia di sé. Trascorsero più di tre anni, durante i quali non si allontanò mai da quel luogo, facendo perdere ogni traccia di sé.”
Prof.ssa Adele Zirulia.