Elena è una giovane studentessa fuori sede che vive in un vivace e popoloso quartiere universitario di Roma, San Lorenzo. Dalla sua finestra osserva la frenesia della vita cittadina, ma la sua curiosità è attirata da un vecchio che abita proprio di fronte a lei, il quale passa molto tempo affacciato a guardare fuori o seduto al suo pc. Quando per un paio di giorni non lo intravede più, inizia a preoccuparsi che gli sia successo qualcosa, e va a casa sua, dove trova la porta aperta. In preda al panico, afferra un calendario sul quale sembrano essere annotate delle strane cifre, insieme a uno scontrino su cui è appuntata una foto, e scappa via. Ben presto scopre che il vecchio, Antonio Vinci, è stato assassinato, e non può più tirarsi indietro: vuole sapere cos’è successo a quella persona in apparenza così tranquilla e riservata. C’è un collegamento con un caso di rapimento avvenuto oltre quarant’anni prima, del quale il vecchio ha conservato decine di ritagli di giornale? Quale verità ha cercato disperatamente di scoprire per tutta la sua vita, in un lungo e doloroso percorso di redenzione, tentando di non farsi sommergere dal senso di colpa?
Anche il commissario Aronica, che coordina le indagini, brancola nel buio, soprattutto quando gli omicidi diventano più di uno. Lui ed Elena dovranno unire le forze per tentare di districare un’intricata ragnatela di possibilità e di domande senza risposta.
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Chiara Tomasi –
Non è come sembra… è questo il pensiero che più volte sorge nel lettore man mano che la trama si dipana.
“Il Vecchio di San Lorenzo” è un romanzo giallo, con tutti gli elementi che caratterizzano questo genere narrativo: un omicidio, un assassino che non si riesce a individuare, un commissario che indaga, una serie di indizi che si palesano lentamente creando l’effetto suspence. La scrittura scorrevole sicuramente invoglia il lettore a proseguire la lettura per scoprire di più.
Eppure il libro non si limita a questa definizione di romanzo giallo.
Il “vecchio” del titolo si chiama Antonio Vinci, vive a Roma nel quartiere San Lorenzo ed è un tranquillo pensionato di 82 anni, vedovo, senza figli. Un giorno viene trovato senza vita nei pressi di un parcheggio nella periferia di Roma. Ucciso con un colpo di pistola alla testa. Non si tratta di un tentativo di rapina: il portafoglio, con il suo contenuto, è ancora al suo posto. Non ci sono segni di colluttazione. Cosa l’ha portato – lui che era abituato a svolgere tutte le commissioni nei pressi della sua abitazione – a recarsi in un quartiere lontano da casa, lontano dalle sue abitudini?
Elena lo conosce solo di vista perché lo vede tutti i giorni dalla finestra di casa sua. È una studentessa universitaria fuorisede, al quarto anno di Giurisprudenza. Non si sono mai parlati, giusto un saluto quando si incontrano per strada. Non appena viene a sapere della sua morte, una molla scatta in lei: forse perché quell’anziano le ricorda suo nonno, o forse perché sente un richiamo che ha a che fare con il suo percorso di studi, o forse perché ha ormai terminato la sessione di esami e ha del tempo libero prima dell’inizio delle lezioni, o forse un po’ per tutte queste ragioni messe insieme, fatto sta che Elena decide di iniziare a indagare su chi può aver ucciso Antonio Vinci. Tutti le hanno sempre rimproverato quel suo atteggiamento impulsivo, quel suo gettarsi a capofitto nelle situazioni senza riflettere; ne è consapevole, eppure non può resistere. Spingendosi nelle sue ricerche ai limiti del lecito – talvolta anche oltrepassando questi limiti – inizia a fare una serie di scoperte che lasciano intuire che Antonio Vinci forse non è soltanto quell’anziano tranquillo che tutti conoscono. C’è qualcosa nel suo passato che l’ha segnato profondamente.
Le indagini di Elena si incrociano necessariamente con quelle ufficiali: il commissario Sergio Aronica, 30 anni, è al suo primo incarico come coordinatore delle indagini preliminari per un caso di omicidio. È un compito importante, deve dimostrare di essere all’altezza, si impegna al massimo delle sue capacità, eppure sembra che il fato non lo voglia aiutare: non si riesce a trovare nulla che possa spiegare il motivo di quel gesto, nemmeno un minimo indizio. Anche provando a scavare nel passato della vittima, emergono delle situazioni certamente inaspettate, ma che pare non abbiano nulla a che vedere con l’omicidio.
L’impressione è che ci sia qualche elemento che sfugge.
Dal punto di vista del lettore, quello che certamente sfugge è una chiara definizione di chi sono i protagonisti: Elena e il commissario Aronica, che pure fanno da traino nella narrazione, non sono i soli protagonisti. Tutti i personaggi coinvolti nella storia hanno la loro parte di protagonismo: ognuno ha la sua dignità narrativa, ognuno viene caratterizzato non solo per il suo presente ma anche per il passato che l’ha portato ad essere ciò che è. È questa la caratteristica che li accomuna tutti: c’è una sorta di fil rouge che collega la trama delle loro vite con il presente narrato. Ciò che sono è frutto del loro cammino, delle loro scelte, e nessuno fra loro è l’eroe negativo o l’eroe positivo: in ogni personaggio ci sono frammenti di bene e di male, che emergono più o meno prepotentemente a seconda delle scelte intraprese. La loro realtà non è solo bianco o solo nero, ma è una serie di sfumature di grigio.
Anche il finale, inaspettatamente, sarà fatto delle stesse sfumature di grigio: ci sarà sì un punto di arrivo, eppure tante domande resteranno senza risposta. D’altronde è ciò che succede nella realtà: non sempre c’è un eroe che riesce a risolvere l’enigma e a scrivere la parola “fine” su una vicenda. Forse una parte dell’enigma troverà soluzione, eppure tante domande resteranno immerse nella foschia, e a quel punto si dovrà prendere consapevolezza e accettare che non sempre è possibile scoprire tutta la verità.