Ciao!
Mi presento.
Sono Guidi Samanta, classe 1971, quasi mezzo secolo di vita a dir poco, articolata.
Giusto 10 giorni dopo il diploma di maturità sono diventata mamma per la prima volta e poi altre 2 negli otto anni successivi: i miei figli sono state le 3 cose più belle che abbia mai fatto!
Ad oggi sono una madre single da oltre 20 anni e negli ultimi 3 sono anche diventata doppiamente nonna, rendendomi molto orgogliosa di questa mia grande tribù.
Sono un tipo solitario, adoro il mare, i boschi, gli animali e l’aria aperta, ma mi piace anche stare con gli amici che, come dico sempre io, sono pochi ma di certo buoni.
Dal lontano 1994 lavoro come Agente di Polizia Municipale, un lavoro non sempre facile ma che svolgo con lo stesso orgoglio e la stessa passione del primo giorno e del quale ancora oggi vado fiera.
Sul lavoro come nella vita mi piace sempre dire le cose come stanno e nella difesa dei principi in cui credo, finisco spesso per combattere quelle guerre perse a cui sarebbe sicuramente più facile rinunciare, ma da cui non riesco proprio a sottrarmi, riuscendo almeno a dare pace alla mia coscienza.
In conclusione sono una tipa cocciuta, forse un po’ strana, sicuramente un po’ pazzerella, e in questa epoca surreale di pandemia in cui stiamo vivendo, sono anche una cosiddetta “Sopravvissuta al Covid”.
Questo mio unico manoscritto è nato proprio a seguito di questa esperienza durante la quale ho aperto gli occhi su aspetti della vita che spesso passano semplicemente inosservati, ma che invece meritano di essere scoperti ed assaporati perché sono preziosi come la vita stessa. Dopo aver visto il buio, sentito il dolore e vissuto il terrore di perdere il mio piccolissimo mondo, ho riscoperto la grandiosità della vita e la voglia di viverla ancora semplicemente assaporando la bellezza delle piccole cose che ora invece so essere molto grandi.
Nei giorni più difficili della malattia, scrivere queste pagine mi ha tenuta con i piedi per terra e mi ha permesso di rimanere lucida laddove invece sarebbe stato molto più facile arrendersi e lasciare la vittoria nelle mani di quel mio perfido “Amico” chiamato Covid. Perciò, per non cedere alla paura, ho finito per schiacciare sotto il peso delle parole ogni emozione provata, ogni sentimento vissuto, cercando di superare il buio fin quando poi il sole è tornato a brillare. Ora spero che questa mia storia, raccontata con i toni del focolare domestico, possa aiutare chi la legge a riscoprire quanto quel sole, magari ben nascosto dietro le nuvole, in realtà sia sempre sopra di noi.
Ecco, questa sono io: quella un po’ pazzerella che non ha ancora rinunciato a sognare.
Omero Nardini –
Il Covid ha generato un’esplosione della scrittura. Sono tante le persone che si sono cimentate con la narrazione sulla malattia. Il libro di Samanta Guidi, Io e il mio “amico” COVID, rientra in questa casistica.
Il racconto narra la sua esperienza attraverso condizioni di grande sofferenza, dalle quali riemerge con un bagaglio di riflessioni, introspezioni psicologiche e di recupero di valori e lezioni di vita. È una sorta di diario, narrato rigorosamente sulla linea del tempo, come una cronaca, quindi. Ma della cronaca non ha i risvolti talvolta irresoluti sul piano della narrazione letteraria: la linea del tempo non viene mai elusa, ma le continue incursioni nel mondo del pensiero, delle emozioni, delle paure e perfino delle riflessioni filosofiche e antropologiche, smorza questa linearità e crea ad ogni pagina motivi di interesse e ragioni per restare presi nella rete del plot letterario. La dimensione del pensiero e dell’introspezione psicologica assume in alcune pagine una funzione quasi di struttura della narrazione. Ed anche le metafore – quella del pesce pescato, del gatto pronto ad attaccare, del mondo percepito da una finestra, del ritorno nella “stanzina” dove ha trascorso il periodo di malattia (il confinamento come rassicurazione), della finestra da lasciare sempre un pochino aperta (un bisogno di aria e di libertà) – permettono alla narrazione sulla semplice linea del tempo di sfuggire all’uniformità cronachistica. Così, l’intera declinazione dei passaggi attraverso le forche della malattia sono espresse con dovizia di particolari: la perdita del senso del tempo, l’estraniazione imperante, la fame d’aria, il sentimento di rabbia; fino a una carezza sulla spalle, un sorriso e un incoraggiamento da un medico USCA e al bisogno di comunicare per portarsi fuori di sé. Anche l’eredità del Covid è esplorata con attenzione cogente: la sensazione di doversi guardare le spalle e un retrogusto di incertezza e inquietudine. E poi, la malattia come condizione che impone ripensamenti sul sé – un tema di grande spessore esistenziale –, sulla vita, sulle relazioni. Se Covid costringe a una sorta di reclusione all’interno dei propri pensieri, si manifesta anche quale “amico” con cui dialogare alla ricerca di senso in una quotidianità che si manifesta malaccorta, riflettendo sulla densità e sulla delicatezza delle relazioni. Proprio covid, che ci priva della dimensione relazionale della vita, insinuandoci il dubbio che troppo spesso ci sottraiamo alla responsabilità empatica che ogni relazione dovrebbe contenere, ci invita quindi a tornare su queste orme dell’esistenza. Il racconto di Samanta Guidi va quindi oltre l’esperienza del Covid, assumendo lo spessore di una narrazione anche di educazione sentimentale.