Se ci vogliamo addentrare nel senso del volume, ecco che verrebbe da dire di trovarci tra le mani una via di mezzo tra un breviario e un diario: al primo pensiamo ogniqualvolta troviamo un componimento che ci anima una riflessione più profonda, una lettura riflessiva che merita – e necessita – di un’analisi che parta dal profondo e non si arresti con la chiusura del libro. È l’innesco ragionativo sulle potenzialità della parola e su quei significati ultimi che non possiamo né dobbiamo ignorare. Al diario, invece, pensiamo ogni volta che emerge quel velato senso di disagio, quella sfumatura di solitudine che celano i pensieri scritti privatamente, per risentirne l’eco e non sentirsi dunque soli. È la parte invero più intima, più personale, quella che avvicina e respinge il lettore, creando un rapporto attivo con la lettura e allo stesso tempo di cura ed accoglimento della parola ricevuta.
Ben Telli è nato nel 1954 e vive a San Donà di Piave, nell’area metropolitana di Venezia. Ha compiuto gli studi universitari a Padova, dove si è laureato in Fisica nel 1978. Successivamente ha svolto la professione di docente di scuola secondaria ed ha concluso la sua carriera insegnando Matematica e Fisica presso il liceo scientifico locale. In campo matematico si è occupato in particolare dei numeri ipercomplessi, ma i suoi interessi multiformi lo hanno portato, poi, alla scrittura, dove ha esordito, nel 2005, con l’opera Letture di Racconti Biblici (Edizioni Segno). Altri contributi alla scrittura, nello stile saggistico, sono pubblicati in alcuni siti ON LINE. Attratto dalle materie scientifiche, ma anche dalla poesia, si è cimentato con la stessa fin dall’età giovanile. Negli anni Novanta ha frequentato il gruppo di poeti veneziani aderenti all’ASSOCIAZIONE POESIA – 2 OTTOBRE, ed ha contribuito alla compilazione dell’antologia di poesie della medesima associazione, intitolata Age quod agis.
Beniamino Bortelli –
Poesia, poesia, poesia!
Già da ragazzo mi piacevi, poesia, ed ho cominciato a scriverti tenendoti segreta nel cassetto del mio comodino.
Poi ho deciso di aprire le porte della tua prigione e lasciarti andare.
Tu sei volata via e sei entrata in un libro, SASSI.
Forse una nuova prigione, o forse no.
Perché scriverti? E soprattutto, perché lasciarti andare?
Ti ho scritta perché mi era facile scriverti, eri semplice ed esprimevi le mie emozioni nella tua forma semplice, libera! Eri una panacea, tra me e il mondo.
Ma, ti ricordi? Io sono cambiato molte volte e l’immagine di me che tu mi rimandi non mi è sempre piaciuta.
Io, adolescente, ti distrussi, per distruggere l’immagine di un me ragazzo, che ora mi manca così tanto, per cancellare quella ingenuità che solo i ragazzi hanno.
Per tutto quel periodo mi costrinsi a una pausa da te, ma, ti ricordi? A un certo punto non fui più capace di respingerti e, in un lamento soffocato, ripresi a crearti.
Perché sia chiaro che ciò che spinge un “poeta” a scrivere è un impulso interiore, al quale non sa resistere.
Per tutta la vita ho continuato a scrivere, in ogni luogo in cui andavo, in ogni sensazione che provavo, con il mio taccuino dentro il taschino, ero lì, pronto a farmi trovare pronto.
E per tutta la vita ti ho tenuta segreta, gelosamente segregata, scacciando da me ogni pensiero sul tuo destino.
Ma il tempo ha bussato alla porta e mi ha imposto una scelta.
Eh, sì, tenerti lì nel cassetto, era come ucciderti di nuovo, e, onestamente, non me la sono sentita.
Ecco perché ti ho lasciata andare, perché per una madre, esiste il momento in cui i figli lasciano il nido, lo sente, ed io l’ho sentito allo stesso modo e, forse, con la stessa intensità.
Non so se sei un figlio bello, ma so che per una madre ogni figlio è un figlio bello.
È così.
Ma se non sei una madre sentiti libero di giudicare.
Hai il diritto di dire che è brutta se così ti sembrerà.
“L’emozione non ha voce” e può essere positiva, o negativa.
Se ti apparirà negativa tieni presente che non è un caso che lo sia, perché il bene viene dal male.
In ciò siamo in buona compagnia.
“Un lamento si leva dal cuore” è l’incipit della mia poesia.
“Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura” è un incipit ben più famoso.
“Cantami o Diva del divino Achille l’ira funesta che infiniti addusse lutti agli Achei” è un incipit ancor più famoso.
Ma, restando più vicini a noi: “Si sta come d’autunno le foglie ed è subito sera” .
Non è forse vero che ogni neonato nasce con un pianto?
Ma poi cresce, cambia, si irrobustisce.
Lei è così, nasce, lamentandosi come Pinocchio, e cresce con me, seguendo il divenire del tempo, al quale solo è soggetta.
E, crescendo, cambia il suo corpo e il suo stile, affronta le asperità della vita acquistando forza, saggezza, stile. Il legno iniziale acquista un po’ di carne e il brutto anatroccolo spicca il volo, qual fosse cigno.
Vilma –
Sai, mi è piaciuta quella del leopardo!
Quello che era chiuso in una gabbia.
Anch’io mi sono seentità così. È vero!
È mi sentivo male, male.
Sai, quando l’ho letta mi sembrava di essere io. E ho provato una sensazione inimmaginabile.
Bravo!
Carmen –
Leggetevi : La panchina di cartone. S me é piaciuta tantissimo. É di una sensibilità straordinaria e di una delicatezza unica.