Finestra con balcone. Palazzo alto. La strada al di sotto: silenziosissima. È notte. Un uomo affacciato poggia le braccia sul parapetto e guarda alternativamente il cielo senza stelle e la strada deserta. Si alza in punta di piedi. Vorrebbe scorgere l’orizzonte, ma per quanto il palazzo sia alto altre costruzioni ancora piú elevate gliene impediscono la vista. Cosí rinuncia e riappoggia le mani sull’inferriata facendo leva sempre sulla punta dei piedi. Adesso osserva con attenzione i selciati distratti. Scavalca la ringhiera e si butta giú.
E quindi non facevo altro che ascoltarlo instancabilmente. Finiva di parlare? Ne avevo fatto una seconda copia che inserivo di scatto nell’altro registratore e che facevo partire all’istante: quella parola strana, quella particolare inflessione non mi avevano convinto. E certamente la voce e le parole se le porta il vento: non avrebbero mai potuto convincermi che quella specifica parola, quel tono pronunciato cosí, corrispondevano non solo alla realtà di quanto mi era stato detto, ma di quanto avevo ascoltato e, dirò, osservato con i miei occhi.
Quando Clisandro cadde addormentato, mi sollevai su un gomito per osservare la luce tenue che scolpiva le lenzuola e il corpo nudo e dimentico di sé. Le lenzuola non erano piú lenzuola: erano panneggi e dune a distesa e disteso sui panneggi e le dune come altri panneggi e altre dune di carne, il corpo di Clisandro giaceva abbandonato con una tale grazia, con un tale lucore oscillante fra l’oro e fra l’argento, che il desiderio di toccare un tesoro piú prezioso di tutto l’oro e l’argento di questo mondo ‒ la pelle ‒ si faceva quasi irresistibile.
“Il tempo passa: talora ci dimentica, talaltra ci ricorda e in ogni caso non possiamo sfuggirgli. Ma l’abitudine e la clemenza del tempo dimentica e ottunde i dolori e una volta smussatili ci distrae. Mutano le stagioni, mutano i colori del cielo e i nostri umori ed ecco: noi siamo un altro”. La nostra esistenza è scandita dallo scorrere inesorabile dei giorni che si moltiplicano fino a diventare anni, portando via con sé la giovinezza e i sogni. È possibile fermare questo incessante divenire? Le anomalie esistono proprio per tale scopo: la loro inabitualità strutturale permette la torsione dello spazio e del tempo che rompono le loro rigide barriere diventando fluidi e cedevoli. Nel testo di Riccardo de Conciliis, dunque, non esiste passato, né futuro, ma solo un eterno presente di calcoli, riflessioni, storie da raccontare e definire. Le parole scorrono in una coralità di voci, ciascuna delle quali esprime i propri sentimenti più veri, perdendosi poi in un vortice di pensieri che riesce a scavare fin nelle profondità dell’animo umano.
Riccardo de Conciliis è nato nel 1964 a Napoli dove vive tuttora. Formatosi nella ricca biblioteca paterna appartenuta allo storico napoletano Vincenzo Cuoco, ha trascorso lunghi periodi della propria vita in Africa. Profondamente appassionato di musica e di botanica, ha dedicato la sua intera esistenza alla lettura e allo studio col desiderio di scrivere fin da bambino. Questo è il suo secondo romanzo dopo la pubblicazione di Eteroritratto.
PRIMO PREMIO NABOKOV
NARRATIVA INEDITA 2020
I cerchi dell’onda e il sasso sul lago
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