Nella silloge Anime invisibili, Katrin ci conduce con voce vibrante in un universo poetico sospeso tra leggerezza e vertigine, dove ogni verso si fa specchio di un animo in perenne tensione tra il desiderio di rinascita e l’attrazione verso il vuoto. La sua scrittura rinuncia a schemi formali rigidi: predilige il verso libero e l’endecasillabo spezzato, favorendo un ritmo dettato più dal respiro emotivo che da scansioni metriche tradizionali. È un linguaggio che alterna lapsus di fierezza e cadute di fragilità, un equilibrio instabile come quello di un palloncino sospeso a un filo sottile.
L’autrice tesse un dialogo interiore che parla al lettore con forza evocativa, trascinandolo in un’esperienza di empatia e catarsi. In questi versi, la parola diventa non solo strumento di comunicazione, ma atto di sopravvivenza: un gesto che, spezzando il silenzio dell’anima, consente di respirare di nuovo.
Appesa a un palloncino, Katrin (Ketrin Lasiychuk), molla la presa e fa un respiro profondo. Scrive e pubblica il suo primo libro, una silloge intitolata Anime invisibili, per ricordare alle lettrici e ai lettori che, superata la paura, essere fragili non è una condanna. Nessun dito puntato contro: la fragilità, per me, disegna l’essenza di donne libere a fianco a uomini liberi.


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