Quanti episodi di mobbing avvengono quotidianamente sul posto di lavoro senza che ve ne sia traccia? Quanti professionisti costretti al silenzio sacrificano gran parte del loro tempo in attività lavorative frustranti? Francesco Pinto in queste pagine mette a nudo le proprie fragilità, invano protette da una dura corazza e, a differenza del Pino Loricato che grazie alla sua corteccia resiste alle peggiori intemperie, mostra le lesioni, ormai permanenti, inferte dagli amministratori mentre dirigeva l’ufficio tecnico comunale. Considerato una presenza scomoda, non corruttibile e deciso a portare alla luce il perpetrarsi di azioni illecite e abusi di potere, viene isolato e circondato dal branco ostile che non gli consente di esprimere pareri contrastanti con la defraudante volontà politica. Nel raccontare le vessazioni e persecuzioni subite, ripercorre gli aspetti più significativi della propria vita con riflessioni non prive di autocritica sulle relazioni umane. Pur annichilito sul piano professionale e dell’integrità psicofisica, riesce a dare un senso alla sua sofferenza: la decisione di scrivere e pubblicare l’incredibile storia di mobbing diventa un’esortazione a trovare sempre la forza di reagire alle ingiustizie e un monito per chiunque imponga a ogni costo il proprio volere, nella speranza di contribuire a far emergere l’innata vocazione al bene che indistintamente ci appartiene.
“Nessuno ha il diritto di commettere un’ingiustizia, neppure chi ha subìto uningiustizia” (Viktor E. Frankl in Uno psicologo nei lager).
Francesco Pinto, studente lavoratore dall’età di 14 anni, ha conseguito nel 1989 la Laurea in Architettura all’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, dove si è abilitato all’esercizio della professione di Architetto. Dal 1995 al 2007 è stato dirigente tecnico del comune in cui ha subìto l’incredibile e documentata storia di mobbing raccontata in Pinto Sloricato. Oggi è docente di Discipline progettuali e Architettura al Liceo Artistico “Vittorio Bachelet” di Nova Siri, in provincia di Matera.
Progetto Grafico copertina: F. Pinto | M. Cammarota.
Antonio Rondinelli –
FRANCESCO PINTO
PINTO SLORICATO
L’essenza di questo libro è tutta nella metafora del titolo, giocata con la somiglianza col cognome dell’Autore ed è già a pag.4, in nuce nella nota sotto il frontespizio. Francesco Pinto, come il suo Omonimo d’Assisi denudó il suo corpo dalle vesti dinanzi al padre, al vescovo ed alla città, denuda il suo animo davanti ai protagonisti del racconto, al lettore e con esso alla società. È l’autobiografia di Francesco, figlio di una modesta famiglia lucana, studente irregolare alle scuole superiori, universitario-lavoratore, che vive in pieno le turbolenze degli anni ’70 e ’80 del secolo scorso nella Roma ammaliante e tentatrice, padre prima della laurea, presto separato, architetto, funzionario, capo dell’ufficio Tecnico del Comune, per le tante ragioni raccontate nel libro, oggetto di mobbing che, dopo tante traversie, lo ha indotto alle dimissioni. Tutto questo è più che abbastanza per solleticare pruriti, insane curiosità, pettegolezzi, gossip politico di paese. Invece, no. “Sine ira ac studio”, Francesco racconta la sua vita, scandita nei vari capitoli del libro senza animosità, livore o cattiveria. Ovvio, nei documenti numerosi e circostanziati, citati in parte nel testo ed integralmente in appendice, si legge la rabbia, il risentimento, la ribellione, l’adrenalina, la sofferenza dei momenti in cui venivano scritti e scambiati. Ma tutto il tono del libro è pacato, argomentato, frutto di riflessione. Il racconto è arricchito, impreziosito, nobilitato da numerose riflessioni di carattere filosofico ed esistenziale, sociologico, religioso, con riferimenti e citazioni di C.Jaspers, P.Sartre, F.Nietzche, Seneca, Platone, Aristotele, S.Bauman, di spiritualismo, misticismo, riti e culti di religioni orientali, di tecnica ed architettura, medicina, botanica, biologia, Didattica a Distanza, valore e finalità della scuola, educazione famigliare come figlio e genitore: in questo ruolo confessa di essere stato assente e inadeguato; con signorilità e cavalleria parla del suo precoce matrimonio, altrettanto precocemente finito; della sua vita a Roma ricorda l’ospitalità e la difesa dalle attenzioni degli omosessuali da cui lo difendeva il poeta Dario Bellezza e la frequentazione con A. Moravia, il tutto insaporito con flash-back ed episodi che fanno sorridere, come a pag.24: ” Ebbi modo di… toccare la gobba di Andreotti”. Numerosi altri fatti ed episodi lascio scoprire al lettore, ma mi piace ricordare che chiese al suo amico fotografo, che gli regalò il servizio delle sue nozze, che stampasse le foto in bianco e nero per valorizzare i luoghi del centro storico del suo paese, ove furono scattate. In tutto questo il lettore coglie le idee, i valori, la personalità, “vede dentro” l’Autore, scorge ciò che egli stesso non si è accorto di aver svelato e palesato di sé; coglie la debolezza e la sofferenza umana, il senso di sconfitta e prostrazione che alla fine sente e si confessa “sloricato”, privato della lorica, scortecciato, vinto. Ma non si abbandona ad invettive e contumelie. Lo stile del libro è pacato, la narrazione scorre come un fiume ampio, calmo, lento, il narratore, pur essendo in prima persona, si è posto al di fuori(e al di sopra) dei fatti come se li presentasse al lettore e a sé stesso per la prima volta. E questo fa sì che la paratassi sia tranquilla, la prosa scivoli, la lettura risulti piacevole, il tutto gradevole; cosí, apprezzabili sono la levità e leggerezza con cui descrive le sue esperienze sessuali e mi piace rimandare ad una massima universale a pag. 61 e richiamare l’aforisma “L’incertezza della fine senza conoscere la fine dell’ incertezza” di pag.118. In questa cornice e sullo sfondo di un animo provato dalla sofferenza, la delusione si sublima, elaborata la sconfitta l’Autore raggiunge la catarsi, fa della caduta un momento di “crisis”, trae bene dal male per risorgere e ripartire, trasforma la SCONFITTAin VITTORIA…agli occhi di chi? Non di chi gli è prevalso nel lavoro e nei tribunali, ma dei suoi figli, di suo padre e sua madre, finalmente di SE STESSO. Questo lo affermo traendolo dalle ultime pagine del libro in cui il Nostro, l’architetto Francesco Pinto, Francesco si abbandona nel nobile finale nelle scuse ai figli, nell’omaggio al padre, alla madre e alle sorelle, al ringraziamento a chi gli è stato vicino e soprattutto all’auspicio di resipiscenza di chi gli ha fatto male, dando a questo libro un valore pedagogico ed un afflato universale, perché “Nessuno ha diritto di commettere un’ingiustizia, neppure chi ha subito un’ingiustizia.”(Vicktor E. Frank in “Uno psicologo nei lager”).
Antonio Rondinelli